Il colore in un’opera d’arte ha il potere di catturare lo spettatore, trascinandolo nel suo vortice di emozioni e significati. Ogni tonalità sprigiona infatti un’energia profonda, capace di evocare sensazioni diverse a seconda della nostra percezione psicologica. In questa rubrica vogliamo esplorare l’utilizzo di cinque colori emblematici nella pittura: bianco, giallo, rosso, blu, e nero. L’articolo guiderà il lettore lungo la scala cromatica, partendo dalla spiritualità del bianco di Malevic, per poi passare alle tonalità calde e vibranti dei dipinti di Van Gogh e all’intensità espressiva di Gauguin. L’essenza del blu di Yves Klein ci guiderà poi verso la purezza del colore, per giungere in ultima istanza alla profondità del nero nei tagli di Lucio Fontana.

Il Blu – Yves Klein

Yves Klein (1928-1962), “Untitled Anthropometry”, 1960. Pure pigment and synthetic resin on paper, 87.5 × 45.4 cm.

Vi è mai capitato di guardare un’opera e di sentirvi trasportati nell’infinito? Questo è il potere del blu di Yves Klein: non un semplice colore bensì un’esperienza, un viaggio sensoriale, un salto nel vuoto. Il suo blu è un portale che smaterializza l’uomo dalla propria concretezza e gli permette di accedere al mondo spirituale e trascendente. L’arte diventa pura idea, senza riferimenti al mondo sensibile, un’immersione assoluta nell’essenza del colore.

Yves Klein, Ritratto in rilievo di Claude Pascal, Arman et Martial Raysse, 1962.

Klein sente il blu come qualcosa di proprio, tanto che nel 1960 brevetta la propria personale tonalità di blu, nota come “l’International Klein Blue” (IKB). Grazie alla collaborazione con un chimico, riesce a trovare la formula in grado di mantenere la purezza del pigmento senza fargli perdere la propria brillantezza. Il risultato? Un colore che brucia e rapisce lo sguardo, non si limita ad essere visto ma che si sente sulla pelle.

Nel pensiero di Klein è presente l’influsso del pensiero buddista zen che invita ad abbandonare l’ego e a riunirsi con il tutto. È molto interessante che nel 1958 Klein svuota completamente la galleria Iris Clert di Parigi e la presenta come opera d’arte, denominata da lui “Il Vuoto”, così che i visitatori possano sperimentare l’assenza di oggetti. Questa sua ricerca si trasporta come fase finale nel mondo delle idee di Platone che permette di divenire per essere e di essere per divenire. Klein non vuole semplicemente dipingere il blu ma decide di raggiungere l’essenza del blu; è egli stesso blu, il suo blu.

Il Rosso – La visione dopo il sermone di Gauguin

Cinque esempi emblematici del significato visivo e psicologico dei colori 
Paul Gauguin, La visione dopo il sermone, 1888. Olio su tela, 73 x 92 cm. Edimburgo, National Gallery of Scotland.

La Visione dopo il Sermone, dipinta da Gauguin nel 1888, segna il passaggio dell’artista dal naturalismo al simbolismo. L’opera si distacca dalla rappresentazione realistica e si carica di un forte valore simbolico: raffigura un gruppo di donne bretoni che, dopo una celebrazione religiosa, assistono come in un sogno alla scena del sermone appena ascoltato, Giacobbe in lotta con l’angelo. Un tronco d’albero divide nettamente la realtà dalla visione mistica, rafforzando il senso di separazione tra i due mondi. L’uso di un rosso così intenso per l’intero sfondo? Un colore insolito per rappresentare un paesaggio. Questa scelta cromatica radicale di Gauguin non solo amplifica l’atmosfera mistica, ma trasforma lo spazio, privandolo di profondità e prospettiva, immergendolo in una dimensione ultraterrena. Il rosso diventa simbolo di passione, fede e fervore religioso, trasportando lo spettatore in un mondo fuori dalla realtà, dove il confine tra sogno e spiritualità si dissolve completamente.

Il Bianco – Malevic

“infinito bianco suprematista consente al raggio visuale di avanzare senza incontrare limiti” 

Kazimir Malevič, Quadrato bianco su fondo bianco, 1918. Olio su tela, 79,5 x 79,5 cm. New York, The Museum of Modern Art (MoMA).

Kazimir Malevič, principale esponente del Suprematismo, considera Quadrato bianco su fondo bianco la massima espressione di questa corrente artistica. Secondo Malevič, dopo una fase di illuminazione, il pittore-creatore deve diventare consapevole e tradurre la propria intuizione in immagini, utilizzando il colore in funzione della composizione. Il bianco è il momento con cui il pittore raggiunge l’assoluto. Il bianco è un non colore che però è la somma di tutti i colori e conferisce l’effetto della luce. Il bianco è il luogo dell’azzeramento e di raggiungimento della perfezione, è energia pura. Nell’opera “bianco su bianco” il colore permette all’uomo il superamento della forma concreta e la perdita di stabilità; è il simbolo della purificazione e di un’astensione verso una dimensione spirituale in cui l’infinito è espresso dalla “non-figura” e dalla negazione della materia. Malevich condivide l’idea dell’eliminazione dell’eccesso, riconciliandosi con le semplici geometrie dove il quadro diventa un’icona senza immagine.

Il Nero – Concetto spaziale, Attese di Lucio Fontana

Lucio Fontana, Concetto spaziale, Attese, 1965, Idropittura su tela, 73 x 60 cm.

Il superamento dei confini della materia rappresenta uno dei punti cardini della ricerca artistica di Lucio Fontana, che a partire dal 1958 realizza la serie di opere Concetto spaziale. Attese, più comunemente conosciute come “tagli”. Quasi a martoriare le tele, monocrome e dai colori decisi, Fontana intende con questo gesto apparentemente impetuoso andare oltre la superficie pittorica, in un processo creativo che unisce impulsività a concettualità. Le fenditure, realizzate grazie all’uso di un taglierino, sono in realtà frutto di movimenti manuali estremamente precisi e meticolosi, così come ne viene attentamente studiata la loro posizione sulla tela e il grado di convessità.

Lucio Fontana, Concetto spaziale, Attese, 1964, Cementite su tela, 190,3 x 115,5 cm.

Applicando lo sfondo nero visibile sul retro di queste opere, l’artista assolve a un duplice scopo: da un punto di vista più concreto, la garza presente dietro la tela ha la funzione di bloccare eventuali deformazioni dei tagli, e al tempo stesso impedisce allo spettatore di vedere la parete retrostante. Il nero della “teletta”, come soleva chiamarla l’artista, richiama quindi un’idea di apertura verso un nuovo cosmo, uno spazio infinito volto a stimolare l’immaginario di chi guarda, chiudendo così il vuoto fisico e lasciando invece spazio a un vuoto “metafisico”, e andando oltre il concetto stesso di materia.

Il giallo – I Girasoli di Van Gogh

Vincent van GoghI Girasoli, gennaio 1889, olio su tela, 95 x 73 cm. Amsterdam, Van Gogh Museum (Vincent van Gogh Foundation).

Il giallo è il protagonista indiscusso nei dipinti di Van Gogh, e in particolare nei suoi celebri Girasoli. Questo colore, che spesso evoca il calore e la vitalità, per l’artista olandese diventa anche simbolo di speranza e di un’intensa ricerca di serenità. Nei Girasoli, Van Gogh impiega il giallo per esprimere non solo la bellezza e la luce della natura, ma anche una sorta di contrasto tra la sua visione di un mondo ideale e la sua realtà emotivamente turbolenta.

Il giallo dei girasoli diventa, quindi, una manifestazione del desiderio di trovare bellezza anche nei momenti più oscuri. La luce che esplode da questi fiori non è solo una rappresentazione del paesaggio, ma un riflesso dell’animo dell’artista, sempre alla ricerca di una verità più profonda. L’intensità di questa tonalità rende il dipinto vibrante, come se la tela stessa pulsasse di vita, un’energia che travalica i confini della pittura per entrare nell’esperienza sensoriale dello spettatore.

In quest’opera, il giallo non è solo un colore: è un linguaggio, una forma di espressione che Van Gogh usa per comunicare il suo mondo interiore, ricco di tensioni, ma anche di una profonda bellezza.

di Eleonora Capitano, Giulia La Porta, Margherita Moro, Maria Lucia Toti

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